Del cattivare la propria volontà,
ex spec. discipline S. Bonaventura. Cap. 4,

  Si sforzino i Religiosi con grandissimo studio, cura & diligenza di cattivare la propria volontâ, perche, che cosa giova à vivere sotto l' ordinatione d' uno, & haver lasciate le sue cose proprie, se non lasciano la propria volontà? essendo molto più utile, & lodevole renuntiare la propria volontà, che le cose proprie. tutta la perfettione della Religione, consiste nell' abdicatione della propria volontà. però chi desidera la perfettione della disciplina religiosa, si sforzi di domare la propria volontà, & soggiogarla al cenno del superiore. in due cose massime si prova la soggiettione della propria volont, cioè in obedire prontamente, & volontieri nelle cose commandate, & non far cosa senza autorità del superiore. Del primo cioè dell' obedienza nelle cose commandate la necessità è chiara, & la grandezza del merito è manifesta, per ciò che, ciò che [sic] in luogo di Dio commanda l' huomo, cosi s' hà da ricevere come se lo commandasse Iddio. & al merito è meglior l' obedienza, che le vittime; ne è cosa più grata à Dio dell' holocausto della santa obedienza. niuno è più espedito à correre per la via della perfettione, che il vero obediente. però i figliuoli dell' obedienza, si esponghino in tutto, & per tutto ad obedire, & subito che udiranno la voce del prelato, con pronta, & devota obedienza eseguischino quello, che commanda; & sia tanto pronto il piede, che in un tratto facci quanto li vien commandato. la perfetta obedienza, lascia le cose sue imperfette; anzi che il buono obediente non aspetta la voce, quando è certo della volontà del superiore. quello è ottimo grado di obedienza, quando si riceve con quell' animo la cosa commandata, con il quale vien commandato, & quando la volontà di quello che fà, depende dalla volontà di quello che commanda. non mai giudichino della sententia delli superiori, quelli il cui offitio è di obedire, & far quello che li vien commandato. & se vogliono far profitto, & pervenire al colmo dell' obedienza, con deliberatione constante propongansi di obedire in ogni cosa, & se per sorte il superiore commandasse cose gravi, ò vero impossibili, ricevino il commandamento con ogni mansuetudine, & se pur fosse sopra le forze loro, proponghino al superiore humilmente le cause della impossibilità; & se pur il superiore restasse nella sua opinione; pensino che quello è il meglio, & che Dio li darà forza di potere obedire. Christo fù obediente insino alla morte della Croce. & benche fece oratione al Padre, che passasse il calice della passione, pur subito disse, non sia fatta la mia, ma la tua volontà. quanto alla necessità del far sempre le cose con saputa, & autorità del superiore, da questo si può vedere; che senza questa, le cose buone, non son buone. cosi dice San Bernardo sopra la Cantica. Grande malum est propria voluntas, qua fit [sic] ut bona tua, non sint bona. perche (dice) se nel giorno del mio digiuno si ritrona la mia volontà, questo non è il digiuno che hà eletto il Signore, ne li piace questo mio digiuno, che non procede dall' obedienza, ma dal vitio della propria volontà. & soggiunge; & io non dico solamente del digiuno, ma del silentio, delle vigilie, dell' oratione, della lettione, dell' opera delle mani; finalmente d' ogni osservanza del Monacho, dove si trova la propria volontà, in questo non vi è l' obedienza del suo maestro, & per questo non è osservanza. per questo i nuovi discepoli di Christo, in tutto, & per tutto abnegando se medesimi, in tutte le cose che hanno da fare, non le faccino se non con il parere del suo superiore. & circa l' opere, è da sapere, che alcune sono commune, altre sono speciali & personale. & di queste alcune s' appartengono al prossimo, & altre alla propria persona. per l' opere communi, che s' appartengono à tutto il colleggio, non s' hà da domandar licentia, poiche per queste vi è licentia, anzi impositione, & niuno da queste si può retirare, per propria autorità, salvo se non fosse per grandissima necessità delle speciali, che s' appartengano al bene del prossimo, e non impediscano le communi, non s' hà da domandar licentia, come ne ancora per le communi, dicendo l' Apostolo. Alter alterius onera portate. delle cose speciali, che s' appartengano alla persona sua propria, come è di mortificar la carne, vigilar longo tempo, & c. non s' hanno da fare senza licentia, & con volontà del padre spirituale, poiche non è padrone di se medesimo. però non s' hà da negare, che non si possi far' alcune cose piccole, & quasi di niun momento. quanto al parlare, se è con il superiore sia con humiltà, & modestia. & se con gl' altri sia di cose honeste, & necessarie, guardandose da ogni superfluità, & indecentia senza mormoratione, contentione, & altro affetto disordinato. & questo non si facci senza licentia particolare ò universale, & questo ancora sobriamente. quanto al dare, & ricevere delle cose, niun lo faccia senza licentia, & saputa del superiore. chi occultamente, & senza licentia del superiore riceve, hà, possede, et usa qualche cosa, lo possede, & usa malamente. chi occulta cosa alcuna al superiore, dice Sant' Agostino, che nel giudicio sarà condannato di furto. perche niuna cosa che il superiore non concede, ò non permette, al Religioso non è lecita à tenerla, del resto ciò che fà di buono, ò dice il Religioso, che sa non dispiace al suo superiore, non sarà fraudato del merito della vera obedienza. felice servitù, anzi gloriosa libertà di colui, che venduto in regia servitù, vuol più presto, che Iddio & i suoi vicarij regino sopra di lui, renuntiando in tutto, & per tutto alla sua propria volontà, sottomettendola perfettamente al suo superiore, che hà elletto in luogo di Dio, acciò lo guidi, & indrizzi nella via della virtù, & per questo si deve lasciar reggere & governare, in ogni cosa, che egli vorrà senza repugnanza alcuna, & senza replica, quantunque li paresse, che quella cosa si potria far d' altro modo, & con maggior utilità, & frutto.


Quest'edizione digitale preparata da Martin Guy <martinwguy@gmail.com>, agosto 2001.
Ultima revisione dell'HTML: 28 dicembre 2005.