Dell'allegrezza, & delettatione che si sente, & gusta nella Religione.
Cap. XXX.
Grande veramente, anzi intollerabile è l' errore di quelli, che pensano, & sfacciatamente dicono, che non vi sono altri diletti, et piaceri che quelli del corpo, della carne. la qual voce è più presto di bestia, che di huomo. quelle perche mancano di ragione, & discorso, mosse dalla natura, s' attaccano solamente alle cose presenti, & cosi quando hanno presente l' obietto proportionato alla natura loro, sono tirate à quello, dall' impeto naturale; & havendo sodisfatto all' appetito, & alla natura, lo lasciano; non curandosi più di quello, come se non fosse in rerum natura; fin che di nuovo, non torna la necessità di quello. ma l' huomo ragionevole, non è cosi; il quale con il freno della ragione, può reprimere l' impeto, & desiderio della natura. onde haverà avanti di se il cibo, & lasciarà di mangiare, benche habbia grandissima fame. il che non può fare la bestia, & quello che hò detto del cibo, s' intende ancora de tutti gli altri diletti, gusti, & piaceri. è vero, che le delettationi del corpo sono più conosciute, & esperimentate fin dalla tenera età, perche l' huomo prima vive vita di bestia, senza uso di ragione; al quale dopò d' essere pervenuto, con gran difficultà può lasciare i diletti, & piaceri sensuali, nelle quali tanto tempo si è nutrito, & perche non hà gustato quelli dell' anima, pensa che non vi siano altri, che questi brutti, & sozzi del corpo. i quali però non sono veri, ne assoluti diletti. ne il giuditio delle vere delettationi, s' hà da pigliare da quelli che hanno corrotto, & guasto il gusto; ma dalli huomini da bene, et virtuosi; i quali per esser tali, sanno giudicare, drittamente delle cose. come il palato sano, giudica benissimo delle qualità de i sapori. l' infermo, & guasto, giudica alla riversa, cioè il dolce amaro, & l' amaro dolce. la delettatione non si può havere, ne sentire, se non vi è qualche bene, che la causi, è la cosa in che si cousa; [sic] et la congiontione dell' una, con l' altra. & quanto queste cose, sono maggiori, & più perfette, tanto è maggiore la delettatione, che indi ne segue, & perche il bene spirituale, è maggior del corporale; per questo è più charo all' huomo; il che si può prestò esser privato della vista, & lume del corpo, che della mente; del quale mancano le bestie, & li pazzi: di quì è, che la delettatione dell' anima, & della mente è più nobile, & più degna di quella del corpo, & del senso: perche il senso, si ferma & quieta nelli accidenti esteriori, cioè nel sapore, odore, colore, & altre cose simili; ma la ragione penetra l' essenza & sostanza della cosa, alla quale si congionge senza mutatione alcuna; ma il corpo con mutatione: il che è atto imperfetto. onde necessariamente una parte passa, & l' altra succede; & cosi la delettatione non può esser tutta insieme, come quella della mente. di più le cose che delettano il corpo sono soggette à mutationi, passano presto, & vengono in fastidio, come si vede nelli cibi, et altre cose simili; ma le spirituali mai mancano, mai si corrompano, mai vengono in fastidio: cosi lo dice divisissimamente [sic] San Gregorio. [Ho.36 in evan.] Hoc distare inter delitias corporis, & cordis, quod corporales, inquit, delitie cum non habentur, grave in se desiderium accendunt, cum vero habite eduntur, comedentem protinus in fastidium per satietatem vertunt. at contra spirituales delitie, cum non habentur in fastidio sunt, cum vero habentur, in desiderio: tantoq; à comedente amplius esurientur, quanto & ab esuriente, amplius comeduntur, in illis appetitus placet, experientia displicet. in istis appetitus vilis est, & experientia magis placet. in illis appetitus saturitatem, saturitas fastidium generat. in istis autem appetitus saturitatem, saturitas appetitum parit. augent enim spirituales delitie desiderium in mente dum satiant, quia quanto magis earum sapor percipitur, eo amplius cognoscitur, quod avidius amentur: & iccirco non habite amari non possunt, quia earum sapor ignoratur: non si poteva meglio esprimere la differenza, che ce frà le delitie carnali, & spirituali di quello che hà fatto questo Santo; con dire che le carnale havute che se hanno, vengono in fastidio, & moveno nausea; & le spirituali quanto più si gustano, tanto maggior desiderio di se accendano. come la dolcezza del miele, non si può meglio sentire, che con il gustarlo; cosi non si può meglio giudicare la realità, & iodeza [sic] del vero gaudio, & la vanità del falso, che con provarlo, poi che la prova è il meglior inditio, & testimonio, che si possi haver d' una cosa. si può aggiongere alle cose sopradette, che la materia delle delettationi carnali, è molto vile, perche, che cosa hà di nobile, & generoso l' abondantia de' cibi esquisiti, de' letti molli, & delicati, de' sontuosi, & magnifichi palazzi, de' vestimenti pretiosi, de' grossi, & ornati cavalli, & de altre cose simili, che la terra possa produrre? niente per certo. però ben dice San Bernardo. [Ser. 4. vig. nat.] Consolatio mundi vilis, & ad nihilum utilis, & quod magis metuendum est, vere & salubris consolationis impedimentum. S'aggiunge di più, che queste deletationi hanno quasi sempre mescolata qualche bruttezza, chi più, & chi manco; ma sempre vi è qualche cosa, onde etiam nelle cose necessarie, quelli che sono più honesti, occultano, & dissimulano l' appetito, & desiderio della voluttà, nel che la natura dimostra, quella esser indegna della eccellenza, & dignità dell' huomo: il contrario aviene nelli piaceri, & solazzi dell' animo: de' quali dice Santo Agostino. [Ser. 5. de ver. Ap.] Felix anima, quæ huiusmodi delectationibus delectatur, ubi turpitudine nulla inquinatur, & veritatis serenitate purgatur: et se vogliamo attentamente considerare la natura, & conditione delle delettationi sensuali, & corporee, trovaremo, che non hanno niente del giocondo, & desiderabile, se non inquanto ci liberano da altri mali più molesti. per questo San Bernardo non chiama questi del corpo beni, ma minori mali; co i quali cerchiamo di liberarci da' maggiori mali. [Ser. de prim.] Comedere, inquit, appetis, quod fames te cruciat: utunque labor est, sed quia fames gravior, comedere nescis esse laborem. deniq; postquam fames depulsa suerit, vide si non gravius ducis comedere, quàm esurire. San Basilio dice [Ps.33.] che nelle voluttà del corpo, vi è più molestia, che giocondità, nelle nozze, & matrimonio vi è spesse volte sterilità, viduità, zelotipia, & altri simili inconvenienti. nell' agricoltura, l' infecondità, & sterilità, nelle mercantie, i naufragij, nelle ricchezze, insidie. e l' istesse delitie, & satietà, & il continuo uso delle voluttà, apportano seco varie infirmità, & molti dolori, & pentimento d' haverle seguitate. disse Giob delli mondani, & carnali: Esse sub sensibus delitias, computabant: dove dice San Gregorio, [20.M. ca.16] Miscentur, inquit, eorum gaudijs plerunq; tribulationes, atq; rebus ipsis ex quibus superbiunt, flagellantur. mà i miseri accecati dallo splendore apparente di queste cose, non sentano le ponture, i stimoli, le molestie, li flagelli, e gli altri insoportabili pesi che queste cose portano seco. de' quali sono liberi quelli, che lasciato il secolo serveno à Dio, nella santa Religione. questi gustano i veri piaceri, le vere delitie, le vere allegrezze, i veri contenti, & per dirla in una parola tutti li beni, i quali non si possono trovare se non in Dio sommo, & infinito bene. il quale per esser tale, riempie necessariamente l' appetito, & desiderio dell' huomo. del che dice San Bernardo. [Ep.114] Revera, inquit, illud verum, & solum est gaudium, quod non de creatura, sed de creatore percipitur, & quod cum possederis, nemo tollet à te: cui comparata omnis aliunde iucunditas meror est, omnis suavitas dolor est, omne dulce amarum, omne decorum fædum, omne postremo quodcunque aliud delectare possit molestum. S'aggionge à questo; che nelle creature, non è sorte di bontà, ne di bellezza, la quale non sia più perfettamente in Dio, poi che è bontà infinita; alla quale se mancasse, qualche cosa non saria infinita, di più, tutto quello che di bello, e di buono hanno le creature, l' hanno da Dio, il quale non haveria potuto dare se non l' havesse per se. onde dice San Bernardo: [Ser. 1. oinum sa.] ti maravigli del splendor del Sole, della bellezza del fiore, del sapore del pane, della fecondità della terra? è tutte queste cose sono da Dio. ne è dubio alcuno che molto più habbia riservato per se, di quello che hà dato alle creature. Seguita adunque che colui che hà, & possiede Iddio, hà ancora & possiede insieme tutte le cose; & che da lui riceve molto maggior delettatione, che non faria da tutte le creature, se ben le possedesse, & godesse tutte. come chi hà un scudo d' oro, hà ancora il valore di tanta moneta d' argento, quanto vale lo scudo, con manco peso & fatica, cosi chi è congionto, & unito à Dio, hà il succo (per dir cosi) di tutto il bene, che stà diviso fra tante creature, senza il peso, & incommodità, che si trova nella natura finita, & limitata di tutte. questo intendeva benissimo San Francesco, quando tanto di cuore, diceva. Deus meus, & omnia, e tanto l' haveva fisso nel cuore, che ne di giorno, ne di notte poteva pensar, ne meditar altro che questo. potrai aggiongere ancora alle cose dette, l' allegrezza che sente il Religioso, vedendo d' esser liberato, da i pesi, molestie, travagli, & miserie della vita secolare; le quali sono tante, che non solo, non si possono esplicare con parole, ma ne manco si possono comprendere con la mente. del solo matrimonio Nisseno, dice tante cose, che fariano atterrire, & spaventare ogn' uno per animoso, & forte che fosse. Denique, inquit, varia, & multiplex est malorum copia, quæ ex matrimonio existunt. hic liberorum multitudine gaudet, sed gemit, quia non habet unde alat ille contra qui in divitijs querendis caret, cui eas relinquat. huic mortuus est suavissimus filius; illi vero vivit filius perditus. Dice ancora altre cose à questo proposito, ma queste bastano. & Sanro Chrisist. laudando la felicità della verginità, dice cose del matrimonio che fanno spaventare, chi le legge. [L. de Virg. ca.57.] hor se tante sono le miserie de un solo stato secolare, quanto saranno quelle de tutti? chi potrà raccontare i pericoli della vita soldatesca, le fatiche, li stenti, gli affanni, etc. onde Santo Chrisost. in lode della vita monastica, dice. [l.2. contra vitup.] che cosa è più leggiere, et tranquilla intricarse in tante cure & pensieri delle cose temporali, overo da tutte queste cure, & legami esserne libero? & altrove dice, che la vita monastica, che à molti pare grave, & molestà; e molto più dolce, & desiderabile, della vita, che pare facile & molle, & lo prova con il testimonio dell' istessi secolari, i quali quando si trovano nelli travagli, affanni, & angoscie, sogliono chiamar beati quelli che vivano nelli monasterij in tanta pace, & tranquillità fuori delli fastidij, & cure che porta seco la vita secolare. & quando bene un Religioso, non havesse d' haver altro bene nella Religione, se non di esser liberato da tanti, & tanti gravi mali, questo solo saria grandissimo beneficio, & saria obligatissimo à Dio, che lo chiama. & in un' altro luoco dice. [ho.49 in mat.] Tantum esse intervallum inter iucundissimam monachorum vitam, & sedundarium voluptates, quantum inter portum tranquillissimum interest, & mare procellosum, ac fluctuosum, eius autem felicitatis illud esse fundamentum, quoniam fori, & platearum tumultus fugientes, ibi degunt, ubi nihil cum secularibus rebus commune est, ubi nihil humanarum rerum perturbatus: non mestitia, non dolor, non acerbior cura, non pericula, non livor, non turpis amor, non aliud eiusmodi, sed ea tantum, que futuri sunt regni, meditantur. Affliggono, & tormentano le cose temporale li suoi amatori, & settatori, per che facilmente si ponno perdere, e il procurarle, defenderle, & conservarle, non si fà senza grandissime cure, ansietà, stenti, fatiche, & dolori. per il contrario le cose spirituali, perche ci vengano date da Dio, ne vi è potestà, o forze in terra, ne manco nell' inferno, che ce lo possi levare (se noi non vogliamo) danno grandissimo gusto & contento. si rallegra il Religioso per la facilità, che sente nel vivere virtuosamente; perche trattando di continuo con persone virtuose, & di virtù, acquista l' habito, con il quale opera con grandissima facilità. à lui è molto più dolce, & soave il fior della castità, che all' impudico il fango della puzzolente, & carognosa libidine. sente maggior contento, quando per amor di Christo è humiliato, & dispregiato, che non fa il secolare quando è inalzato, & sublimato. l' abnegar la pripria, & far l' altrui volontà, à lui molto più dilettevole, che non è all' altri che far ciò che vogliono. gusta più nella povertà, che non fanno altri nelle ricchezze, il non haver niente reputa per maggior ricchezza, che se havesse tutti i thesori del mondo. chi è di voi fratelli dice San Bernardo, che non habbia esperimentato spese volte la delettatione della buona conscienza, che non habbia gustato il sapore della castità, humiltà, & charità? questa non è delettatione di bevere, mangiare, ò d' altre cose simili, nondimeno è dilettatione et maggiore di tutte quelle. perche è divina, non carnale, non humana delettatione. L' Abbate Abraham, appresso di Cassiano, dice, quelli che più, & fidelmente servendo à Dio, pigliaranno il giogo del Signore sopra di se, & da lui impararanno, che è mansueto, & humile di cuore, havendo già in un certo modo, deposta la sarcina, & carico delle passioni terrene, ritrovaranno non fatica, ma riposo per gratis di Dio all' anime loro, & trovaranno quello esser verissimo. Iugum meum, & revera (dice lui) si comparare volveris splendentem virginitatis florem, & suave olentem castimonie puritatem, tetris, ac fetidis libidinum volutabris; quietem, securitatem que monachorum, periculis & erumnis, [eru~nis] quibus mundi huius homines implicantur; paupertatis nostræ requiem, edacibus divitum tristijs, ut pervigilibus curis, quibus non absque summo vite periculo diebus ac noctibus consumuntur, suavissimum iugum Christi, onusque levissimum facile comprobabis. è liggiero il giogo di Christo, perche lui aiuta à portarlo. Non ego autem (disse l' Apostolo, parlando delli travagli patiti) sed gratia Dei mecum, è tanta la forza di questa gratia, che muta & transforma l' huomo in un nuovo huomo: è di debole lo fà fortissimo, cosi lo disse David. [Ps.67.] Dominus dabit virtutem, & fortitudinem plebi sue, & Esaia. [Is.40.] Qui sperant in domino, mutabunt fortitudinem; assument pennas sieut [si- eut] Aquile current, & non laborabunt, ambulabunt, & non deficient, & che cosa potiamo più desiderare? promette le penne per volare per questa strada, & dice, che non lavoramo, acciò non manchiamo. è Abacuc Profeta [Aba.3.] esulta & trionfa, non in se stesso, ma nel Signore. Deus, inquit, dominus fortitudo mea. perche cosi ci serviamo delle forze di Dio, come se fossero nostre proprie. però dice fortitudo mea, & che cosa faccia in noi questa fortezza, soggionge dicendo. Ponet pedes meos quasi cervorum; & questo acciòche corriamo allegramente, con velocità, & per i piani, come sogliano gli huomini vulgari, & communi; ma ancora per luochi ardui, & difficili. però aggionge. &Et super excelsa deducet me victor in psalmis canentem, lui adunque combatterà per noi, lui vincerà in noi, lui scacciarà il nimico, lui ci cundurrà per questa via senza fatica, cantando Salmi, il che significa continua allegrezza, & attione di gratie à Dio, che in noi, per noi fà tante cose. mollifica le cose dure, & aspere della Religione, anzi le fà dolce, & amabili. Laurenzo Giustiniano, huomo santissimo & sapientissimo, dice in lode della Religione, che Iddio à posta, & con gran conseglio, hà nascosto la giocondità, il riposo, la quiete, & delettatione, che si ritrova nella Religione; perche se gli huomini la conoscessero, & penetrassero da dovero, non si trovaria, chi volesse restar nel secolo, per che niuno voria esser privo di quella. e lui l' haveva molto ben provata, perche fin dalla tenera età era vivuto nella Religione, con tanta santità, & prudenza che fù giudicato degno d' esser pastore della sua propria patria. Apollo: celebre appresso gli antiqui, padre di cinquecento monachi, cosi l' instituiva, che voleva, che sempre stassero allegri. onde non si vidde mai in terra tanta, et tanta continua allegrezza, quale era frà loro: e diceva cosi, che non dovevano mai star di mala voglia, quelli che havevano tanta, & tanto certa speranza della felicità eterna; che la tristezza, lutto, & pianto giusto, & vero, s' haveva da lasciar alli Gentili, Giudei, & mali Christiani; ma che i servi di Dio sempre s' havevano da rallegrare. la Sacra Scrittura dice cose grandi dell' allegrezza de' servi Dio, [Ps.30.] Quam magna (disse David) multitudo dulcedinis tuæ domine, quam adscondisti timentibus te? dice grande; ma nascosta, conosciuta da quelli solamente, che veramente temano Dio. Esaia disse. [Es.32.] Et sedebit populus meus in pulchritudine pacis, & in tabernaculis fiduciæ, & in requiem opulenta, & che cosa può desiderare l' huomo meglio del riposo, & quiete, non vana, & senza frutto, ma riccha opulenta, & piena de tutti i beni spirituali? [Ps.96] Lux orta est iusto (disse David) & rectis corde lætitia, e dice questo, perche quella sola è vera allegrezza, che nasce dalla luce dell' animo, & da un cuore retto, & altrove. [118.] Quam dulcia fancibus meis eloquia tua super mel ori meo, il che non saperia se non l' havesse gustato, come chi non gusta il mele corporale, non sà che sapore s' habbia. cosi aviene à chi non hà gustato le cose spirituali, dice ancora. [Ps.35] Inebriabuntur ab ubertate domus tuæ, & torrente voluptatis tuæ potabis eos: chiamò torrente per la copia & abondantia, perche questa sorte d' acqua non nasce dalla terra, ma è mandata largamente dal cielo, dove è il fonte perrenne & sempre manante, dice ebrietà, perche quelli che sono satiati di tali sollazzi, non solo à pieno hanno estinta la sete, ma non veggono in terra, ne si curano di cosa veruna che vi sia. [51.] Ponet (dice Esaia) desertum eius quasi hortus domini, gaudium & letitia invenietur in ea, gratiarum actio, & vox laudis/, ò felice deserto nel quale si trova tanta copia de gaudij, & che altro più vero deserto sarà questo, che la Religione? luoco remoto dalla consuetudine del vulgo, dalli honori, dalle ricchezze, & da tutte le commodità del mondo, referisce Cassiano, che l' Abbate Giovanni era solito di sentire tanta allegrezza interiore, che non si ricordava se havesse mangiato il giorno precedente, e del beato Effren si dice, che quando il cuore quasi li crepava de interiore allegrezza, soleva dire, Signore partitevi un poco da me; perche l' infirmità di questo mio vase, non può sopportar tanto. è di San Bernardo si racconta che era tanto assorbito nelle dolcezze, & gaudij spirituali, che cavalcò tutto un giorno appresso d' un lago senza vederlo, ne accorgerse d' esso: & che essendo stato un' anno in una cella, non sapeva se haveva tetto. Santa Catherina da Siena talmente si assorbiva in Dio, che non sentiva le ponture de un' aco, con che una giovane curiosa li passava il piede. di Santo Francesco scrive Sav Bonaventura, che soleva esultare mirabilmente alla vista d' un herba, d' un' arbore, d' un animale, anzi d' un vermicello, contemplando in queste cose l' infinita bontà, potenza, & sapienza di Dio, creatore, & Signor nostro, non finiria mai, se io volesse seguire questa materia. però mo contentarò delle cose dette. chi non crede; cerchi di provarle, che son certo, li dispiacerà di non haverle provate, & gustate prima.