Ponti dell'ubedienza, del molto Reverendo Padre Ignatio de Loiola.
Nell' entrar nella Religione, overo entrato che io sarò in essa, debbo esser in tutto, e per tutto rassegnato in Dio S. N. e nel mio superiore.
Debbo desiderare d' esser governato e guidato da un superior tale, che habbia riguardo, e mira all' abnegatione del proprio giuditio, & intelletto mio.
In queste cose, dove non sia peccato, in tutte far debbo la volontà del superiore, e non la mia.
Vi sono tre maniere d' ubedire, una quando mi vien comandato qualche cosa in virtù d' ubedienza, e questa è buona. La seconda quando mi viene ordinato ch' io faccia ò questa overo quell' altra cosa, e questa è megliore. La terza quando faccio ò questo, ò quello, imaginandomi che cosi il superiore ricerchi è voglia, quantunque non me lo ordini, ne me lo comandi, e questa è molto più dell' altre perfetta.
Non debbo haver riguardo se il superior mio sia maggiore, mezano, ò minore: ma debbo haver la devotion mia totalmente all' ubedienza, per esser' egli in luogo di Dio nostro Signore, poi che col voler far queste distintioni, si perde la forza dell' ubedienza, la quale per esser perfetta, hà da esser cieca, & in questa cecità consiste la vera sapienza, questa non guarda quello che li vien comandato se sia utile ò nò, facile, ò difficile: possibile, ò impossibile: ma basta à lui che li sia comandato, & cosi mette ogni diligenza per esequirlo: questa ubedisce non solo con la esequtione esteriore, ma con il giuditio ancora giudicando per meglio quello che li vien comandato. questa hà una pace mirabile, & tranquillità di coscienza, poiche fà che l' huomo muora perfettamente al mondo, & viva à Dio nostro Signore, & cosi à guisa di quel grano evangelico gettato nella terra, et mortificato produce il frutto centesimo.
Quando io hò per openione, overo giudico che il superiore mi comandi cosa che sia contro la mia coscienza ò peccato, & al superiore il contrario pare: debbo dove non vi hò demostratione ragionevole crederli, è se non posso da me stesso persuadermi questo almeno deponendo in altrui il giudicare e l' intender mio, lasciarlo al giuditio, & alla determinatione di due ò tre persone: se à questo non condescendo sono molto lontano dalla perfettione e da quelle parti che si ricercano in un Religioso.
Non debbo esser mio, ma di chi mi creò, e di colui che tiene il suo luogo, per lasciarmi maneggiare e governare della maniera che molle cera trattar si suole, cosi nello scrivere, e nel ricevere lettere, come anco in ragionar con le persone, cioè con queste o con quelle, ponendo ogni mia devotione in ciò che mi viene ordinato.
Debbo primieramente ritrovarmi à guisa di un corpo morto che non hà ne volontà, ne senso. Secondo come un piccolo crocifisso, che da una parte all' altra volger si lascia senza alcuna difficoltà. Terzo debbo assomigliarmi, e farmi come un bastone che sia in mano d' un vecchio, acciò mi ponga dove più li piacerà, e dove maggiormente aiutar lo possa.) [sic] cosi debbo io star apparecchiato, acciò che di me la Religione si aiuti, e si servi in tutto quello che ordinato mi sia.
Non debbo addimandare, pregare, ne supplicar il superiore che mi mandi in questo, ò in quel luogo, per tale ò tal' ufficio, ma proposto che haverò i miei pensieri, & i miei desiderij, pormeli a' piedi suoi, lasciando il giudicare, & il comandare al superiore, giudicando io, & tenendo per meglio quello che da lui sarà giudicato e comandato.
Nondimeno nelle cose di poca importanza, e che buone siano chiedere e dimandar licenza si può, come d' andar alle stationi, ò per richiedere gratie, overo altre simili cose con animo preparato però, che quello che concesso ò non concesso mi sia, quello sarà per lo meglio da me stimato.
Cosi medesimamente quanto alla povertà non tenendo, ne stimando d' haver cosa alcuna di proprio, debbo far conto che in tutto quello che possedo per uso delle cose, io sono vestito & ornato à guisa d' una statua, la quale alcuna resistenza non fà, quando ò per qual cagione si sia, la spogliano dell' ornamenti de' quali poco prima fù coperta.