Hack! Qui si
sgombera
Centro sociale Auro
Qui la prossima estate si sarebbe dovuto tenere l'"Hackmeeting
2001", ma il Comune non sembra granché interessato. Storia di un
laboratorio molto avanzato. E aperto
ARTURO DI CORINTO
Il centro sociale Auro di Catania, candidato ad ospitare
l'Hackmeeting 2001 - www.hackmeeting.org - è minacciato
di sgombero dalla giunta comunale. Chissà se il sindaco
Scapagnini - con delega all'"Agenzia per i Giovani" e compagno di
partito di uno che sui manifesti elettorali dice di voler
promuovere l'uso di internet per le nuove generazioni - si è
accorto che proprio all'Auro i giovani della sua città imparano a
usare il computer.
Il centro autogestito - che tenne a battesimo la riapertura della
rivista antimafia I Siciliani e che conserva l'unica
collezione completa di cronaca cittadina dalla fine del fascismo
agli anni '70 - è promotore di numerose iniziative
interculturali, attività ricreative per bambini, laboratori video
e musicali, e da pochi anni ospita anche il FreakNet
MediaLab, impegnato, tra l'altro, a realizzare un'emeroteca
virtuale per conservare quel patrimonio di storia locale.
La prospettiva che il Medialab, promotore del futuro
hackmeeting, possa essere buttato fuori dall'Auro ha
messo in agitazione gli attivisti che sulla lista
hackmeeting@kyuzz.org lo stanno preparando. E non solo
perché mette in forse la kermesse catanese della prossima estate
ma proprio perché mette a rischio la prosecuzione di tutte le
attività che lì vengono svolte, nella migliore tradizione degli
hacker nostrani.
Il Medialab del centro sociale, infatti, non è solo un
luogo di sperimentazione di tecnologie a basso costo, dove il
riuso dei computer dismessi è la norma. Ma è anche uno degli
hacklab che concretamente pratica il diritto
all'informazione per tutti - fornisce servizi di e-mail e
surfing gratuito, a catanesi e immigrati - ed ha
attivato, caso unico in Italia, programmi di navigazione e
videoscrittura in lingua araba.
Nato dall'esperienza della rete di Bbs amatoriali
FreakNet, nel laboratorio autogestito di informatica gli
attivisti del centro sociale tengono corsi di formazione all'uso
dei computer e si dedicano alla diffusione dell'uso di software
libero come Linux, con l'intenzione di rimediare
all'errata convinzione che esso sia di difficile uso e quindi
inadatto ai principianti.
Nei mesi passati i loro corsi hanno visto la partecipazione di
giovani e meno giovani che lì hanno appreso che sistemi operativi
come Unix/Linux sono molto più stabili del famigerato
Windows; hanno interfacce grafiche piacevoli e intuitive
e possono usare software "open source" per scrivere, fare
calcoli, disegnare e navigare su internet. Soprattutto hanno
scoperto che Linux è assai più affidabile e meno costoso
dei sistemi operativi commerciali e su questo hanno avviato una
campagna per l'obiezione di coscienza all'uso dei sistemi
proprietari, recapitandola al rettore dell'università di
Catania.
Nella loro lettera hanno chiesto di non sprecare i soldi degli
studenti in spese inutili "visto che una buona fetta delle loro
tasse finiranno nell'acquisto di hardware non necessario e di
software scadente che dovrà presto essere aggiornato". L'adozione
di Linux, dicono, che gira finanche su vecchi "386",
rivalorizzerebbe l'attuale parco calcolatori dell'Ateneo
rallentando la folle corsa all'aggiornamento dell'hardware e al
peggioramento dei servizi informatici.
Questa tesi la motivano spiegando che l'aggiornamento dei sistemi
operativi di tipo proprietario, come Microsoft Windows, e
applicativi come Microsoft Office, implica spese onerose
per l'acquisto di ciascuna licenza d'uso. Non solo. La
complessità non necessaria dei suoi programmi richiede sempre
maggiore potenza di calcolo che, in un circolo vizioso, obbliga
all'acquisto di processori più potenti e periferiche specifiche
che poi, guarda caso, sono commercializzati dalle case che hanno
accordi commerciali con la Microsoft.
Ma quello economico non è il solo motivo. Il software libero e
"open source" permette, al contrario dei "software chiusi" come
quelli di Microsoft, di studiarne l'ingegneria interna,
necessaria alla formazione degli studenti, che invece diventano
"pirati informatici" se provano a farlo con il software
proprietario a causa di una legislazione che criminalizza lo
studente che lo "apre" per vedere come è fatto o ne produce una
copia per studiarlo a casa come da programma didattico.
Gli studenti universitari del Freaknet Medialab vanno
oltre e auspicano che l'università aderisca allo spirito del
progetto Linux, il cui sviluppo è il frutto della
passione di decine di migliaia di programmatori che, grazie a
internet, condividono il loro lavoro in maniera cooperativa,
agendo di fatto come un laboratorio di ricerca distribuita.
Il corollario delle loro tesi è che se la ricerca condotta dalle
multinazionali del software che mirano solo al profitto e al
consolidamento delle posizioni di mercato va a scapito della
qualità dei prodotti e favorisce l'omologazione della creatività
informatica, diversa dovrebbe essere la missione dell'università.
Questa dovrebbe formare coscienze critiche e non consumatori
stupidi. O no? E dovrebbe garantire l'accesso agli strumenti
della formazione a tutti. O no?
Insomma, due esempi per dimostrare che i sostenitori della libera
circolazione dei saperi non si limitano a rivendicarla a parole
e, non rassegnati a perdere il proprio avamposto di cultura
critica a Catania hanno già avviato una raccolta di firme in
città e sulla rete per sostenere le proprie ragioni:
www.freaknet.org.
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